“Ci sono dei do e dei de” dice il piccolo imprenditore. Io prendo appunti, con la mia stilografica blu. Sto pensando a questo post, ma sembra che sia molto coinvolto dalle sue parole. Camicia azzurra, scarpe eleganti, l’unica concessione che mi sono fatto è stato lasciare quelle due spillette così rosse attaccate allo zaino, ben in vista. Si parla di aziende, di reti, di crescita e di componenti meccanici.
“Ci sono dei do e dei de”, ripete quello, mentre il Professore, al mio fianco, cerca di inserirsi nel discorso. Non riesce a finire una frase, già che l’altro è troppo esuberante. Vorrebbe fargli capire come alcune sue idee siano eccessive, come sia impossibile metterle in pratica. Anche perché a metterle in pratica sembra dovremo essere noi, e tempo non ce n’è mai abbastanza. Gli occhi del Professore, però, sono attenti: parla una lingua diversa rispetto all’uomo che ha di fronte, ma entrambi sono affascinati dalle imprese.
“Ci sono dei do e dei de”, ribadisce ancora una volta quello. E al suo fianco, di fronte a me, la giovane collaboratrice annuisce con l’aria di chi quel discorso l’ha già sentito tante volte. E’ un po’ sciupata dal tanto lavoro e dagli anni di ingegneria, ma sul volto la lieve abbronzatura rivela un fugace fine settimana in riviera.
“Ci sono dei do e dei de”, finisce lui. “Per partecipare alla nostra rete di imprese bisogna dare, oltre che ricevere.”
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